Prometheus_Open Food Lab

Rodere il Bosco: l'esplorazione dell'edibile come strumento di interpretazione del paesaggio nelle sue mutazioni.






lecture by Lorenzo Barbasetti di Prun
at the 55° Corso di Cultura in Ecologia
San Vito/ Borca di Cadore (BL)
3-5 giugno 2019




L'importanza del sodalizio tra Tesaf e dolomiti contemporanee, che si manifesta da un paio d'anni nella co-progettazione e co-curatela dello storico Corso di Cultura in Ecologia, risiede a mio avviso proprio nel portare alla massima espressione i reciproci intenti e il titolo stesso del corso.

Persiste una diffusa percezione di cultura e scienza come di mondi separati con pratiche distinte e linguaggi non comunicanti, la quale da anche adito a confusione nella definizione del termine cultura. Alternativamente, a seconda dei contesti, la prima è relegata a ruolo ancellare della seconda o quest'ultima ridotta a mero strumento tecnico dell'altra. In verità la cultura non può essere limitata a dispositivo di comunicazione della scienza, di traghettante del sapere scientifico ad un livello di lettura popolare; così come scienza non costituisce supporto legittimante per le pratiche culturali.

Cultura e scienza offrono prospettive complementari ed interconnesse sui fenomeni che in diversa misura coinvolgono l'Uomo. Per questo motivo il dialogo fra le due dimensioni è necessario e arricchisce la reciproca ricerca, ed in ultima istanza è la stessa coesione tra le due a restituire il significato più preciso di cultura. Tanto più quando si tratta di ecologia e paesaggio che nei termini più ampi coinvolgono la complessità delle attività umane e i contesti in cui esse si svolgono.
Io non sono un forestale e le mie competenze in materia di gestione, controllo e pianificazione di ambienti forestali è pertanto limitata da un punto di vista di strumenti scientifici. Sono invece un cuoco, appartenente ad una genia di cuochi più o meno direttamente influenzati da una rivoluzione che ci ha portati sempre più ad uscire dalle cucine per indagare in maniera più profonda il contesto umano e ambientale in cui la nostra professione si esprime. Cuochi esploratori che non solo conoscono il territorio in cui si muovono ed i suoi attori, ma innescano e sostengono meccanismi di trasformazione e sistemi di significazione nel paesaggio. Il cibo è linguaggio, generatore di senso quindi, non solo strumento di comunicazione e tradizione, ma elemento informante del contesto in cui si genera, di una percezione e quindi di una disposizione mentale.
Prometheus_ è un progetto di ricerca che indaga il cibo, ovvero l'edbile, come strumento culturale di ricognizione di un paesaggio al fine di riattivare uno strumento di resilienza per comunità in luoghi remoti. Esistono per queste aree definizioni diverse che prendono in esame parametri più o meno elaborati. Le istituzioni se ne occupano da qualche tempo: sono marginali, interne, periferiche a seconda della prospettiva applicata, ma nessuno a mio avviso ne restituisce la complessità socio- storico-geografica. Mi rivolgo quindi all'origine della parola: remotus da re-movere, rimuovere, allontanare indica non uno stato di natura, ma l'esito di un processo. Questo cambiamento può impiegare secoli, oppure consumarsi nel giro di poche generazioni. Ciò che un tempo era il centro del mondo, di un'idea di mondo ora può apparire remoto, e viceversa. Il remoto spazio profondo è ora il fuoco attrattivo di uno sviluppo della specie che appare futuribile. Mentre ambienti come quello montano, che ci ospita e a cui tutti noi rivolgiamo gli sforzi della nostra ricerca nei rispettivi ambiti, risultano progressivamente meno accessibili.
Remoto infatti non implica solo, e non necessariamente, una ridotta permeabilità fisica dello spazio. È piuttosto un fattore mentale e quindi culturale: un insieme di strumenti virtuali -che si traducono poi in altri fisici- che consentono di leggere, interpretare e abitare un luogo introducendo modificazioni più o meno consapevoli o significative. La creazione di un ecosistema. Resistono ancora tracce di attività umane che per millenni hanno dato forma a questi ambienti rendendoli abitabili, creando nicchie ecologiche. Definendo i paesaggi che ora spesso restano statiche proiezioni mentali che si tenta di replicare avendo perso gli strumenti per capirne il significato in un contesto mutevole. Sono le rovine di culture pioniere a loro insaputa , migranti in cerca di risorse: cibo prima di tutto.

Il nutrimento è la prima delle primarie necessità di qualsiasi organismo vivente. Ogni specie animale e vegetale sviluppa specifiche strategie biologiche e comportamentali di adattamento all'ambiente circostante per garantirsi il nutrimento e quindi la possibilità di riprodursi. Le strategie uniche sviluppate dall'Uomo costituiscono per di più agente attivo di trasformazione. Il cibo è motore, quindi forza creatrice. Strumento cognitivo, chiave di lettura e al contempo fine informatore. L'Uomo insegue dapprima la risorsa, assecondando i ritmi di ciò che ha codificato come cibo. Poi ne imbriglia i meccanismi naturali, riconducendoli nel recinto culturale stabilendo confini, li plasma alle proprie esigenze. Con conseguenze straordinarie: virtuose o catastrofiche. Modifica l'ambiente attorno a sé, la propria nicchia, perché risponda alle proprie mutevoli esigenze. È una co-evoluzione continua quella tra cultura ed ambiente che genera il paesaggio: delicato equilibrio fra Uomo e Natura.
Il paesaggio non è naturale così come non lo è il cibo. Esiste una perversione moderna per la quale si tende ad applicare l'etichetta naturale a ciò che naturale non è. É il tentativo di riappropriarsi di una dimensione non tanto persa in sé, ma rispetto alla quale sono venuti a mancare gli strumenti di interpretazione. Questo porta a far rientrare forzatamente in dinamiche di natura ciò che invece è il frutto di lunghi e complessi processi culturali, innescando una pericolosa deriva dogmatica pseudo scientifica. Riappropriarsi e rigenerare quei meccanismi che traducono elementi naturali (non solo gli elementi stessi) entro i confini costituiti dalla cultura -rendendoli comprensibili e quinti interiorizzabili- significa preservare la possibilità di leggere un ambiente e quindi abitarlo nelle sue mutazioni. Motivo per cui Prometheus_ delinea una distinzione netta tra edibile e cibo, concentrando la propria ricerca sul primo. Edibile è tutto ciò che può essere potenzialmente ingerito. Cibo è il frutto di una ristrettissima selezione del bacino di significazione dell'edibile applicata da una ben precisa cultura. Per la stessa ragione, parallelamente ai meccanismi riteniamo che sia fondamentale mantenerne attivi e in buono stato di salute gli attori: coloro che questi applicano e fanno evolvere in relazione all'evolversi dell'ambiente. Presidio culturale di cura del territorio.

Si è parlato più volte nei giorni del Corso di lasciare aperti alcuni di quegli spazi riconfigurati da Vaia, lasciarli a pascolo. Resta da capire per chi e chi di conseguenza sarà preposto alla loro cura. Difficile pensare di mantenere pascoli senza pastori e bestie, o che questi stessi possano esistere in una cultura che non li contempli. L'Uomo fa il paesaggio e il paesaggio l'Uomo. Strategie di abitazione di un ambiente hanno richiesto millenni per svilupparsi, ma possono smarrirsi in termini di decadi. Ripristinarle, se possibile, può risultare molto arduo.
La cultura opera sul piano delle complesse dinamiche socio-politiche come il DNA su quello biologico. Ha il vantaggio di essere potenzialmente enormemente più rapida, tuttavia con esiti non sempre controllabili o prevedibili. Un carattere può diventare temporaneamente obsoleto per poi riemergere quando le condizioni ambientali lo richiedano. Inoltre, come avviene per la genetica, più grande è il pool, il bacino di caratteri da cui attingere, maggiori saranno le probabilità di adattamento e quindi di sopravvivenza. A differenza del DNA tuttavia la memoria culturale, soprattutto pratica, può rivelarsi molto più breve di quella genetica. E talvolta alcune culture finiscono con l'autolimitare il cross breeding: l'incrocio. Una cultura depauperata del propri mezzi di coerenza e aderenza al paesaggio, e chiusa all'esterno riduce la propria resilienza, ovvero la capacità di far fronte a fenomeni di disturbo, di qualsiasi origine essi siano.

Si può affermare, non senza un discreto grado di approssimazione, che l'Uomo sia l'unico essere vivente che modifichi coscientemente il proprio ambiente, e che lo faccia ad un ritmo di molto superiore a quanto non sia in grado di adattarsi ai cambiamenti. Geneticamente, per ovvie ragioni biologiche. Ma considerata la rapidità dei cambiamenti climatici e la risposta a questi, si potrebbe dire anche culturalmente. Nel caso di fenomeni su scala globale, come per quelli ciclici e
relativamente isolati, la questione è fortemente umana e non naturale. Non a caso il corso è intitolato all'ecologia: lo studio, e quindi il tentativo di comprendere e organizzare l'oikìa: la casa. Per estensione, l'ambiente che come specie, con dinamiche e caratteristiche diverse a seconda dei contesti, ma analoghe, abbiamo costruito per garantire la nostra sopravvivenza e riproduzione. Il paesaggio. Per ulteriore, necessaria estensione il pianeta tutto, consapevoli a tratti che anche le sorti di quelle aree in cui non abitiamo impattano direttamente su quelle dove le nostre società si aggregano.

L'approccio è necessariamente antropocentrico. Non è la Natura, idealizzata e divinizzata, ad essere a rischio, quanto piuttosto la nostra possibilità di sopravvivere in un delicato equilibrio con essa. La natura è cambiamento costante, più o meno rapido e radicale. Ha attraversato cataclismi ben più seri di quello che potremmo costituire noi ed è ragionevole credere che manterrà il proprio equilibrio dinamico secondo meccanismi che ci sono ancora largamente imperscrutabili. Il rischio verosimile, ormai palpabile, è che questo equilibrio naturale non sia per tempi e modalità compatibile con le esigenze della nostra specie o delle attività umane. Negarlo significa, come è già avvenuto in diversi territori come questo, abdicare ad un preciso ruolo ecologico di cura.

Questo ci è stato chiaro fin dal primo momento in cui ci siamo insediati con la nostra pratica in questa valle avendo avuto il modo di esplorare altri ambienti in diverse aree del globo. Con i processi di spopolamento, con l'abbandono degli strumenti umani di conoscenza e mantenimento costante del paesaggio spariscono gli spazi ad esse dedicate. I pascoli, senza pastori e bestie vengono riassorbiti dal bosco, che senza boscaioli cresce rapido e disordinato. Lambisce i fiumi alterandone le sponde, arriva a ridosso delle abitazioni, ora seconde case. Col ridursi dei prati cala la popolazione degli insetti impollinatori. Latte e miele si dice. Il lavoro dei forestali e degli istituti di ricerca è titanico e anche quando ben condotto manca tuttavia di quella componente costituita da un'opera quotidiana e capillare, di una cultura diffusa del territorio. Colture di un tempo, varietà introdotte dall'Uomo, ora si mescolano nel bosco riassaporando un ritorno al selvatico. Dimenticate ormai, come altre pure autoctone un tempo usate e ora ignorate, ed altre ancora scomparse. Mentre nuove si affacciano per la prima volta su questo territorio, per la visione di pionieri, interpreti alloctoni di un cambiamento già in atto ma invisibile a chi ha perso i mezzi per comprenderlo. Ora Vaia ha cambiato tutto, aprendo gli spazi e le percezioni di ciò che in fondo già c'era. Sotto il bosco e del bosco stesso. Il bosco ora è sgombro, la mente pure per poterlo leggere in maniera inedita.

Rodere il bosco significa riprendersi gli spazi, fisici e mentali. Creare una nicchia, ribadire la volontà di assumere un ruolo ecologico di cura in un delicato equilibrio. Questo o andarsene per sempre. Lasciare allora davvero alla Natura, ripiegare e ripiegarsi consapevoli delle conseguenze. Rodere il bosco significa riattivare il ruolo meccanico ed enzimatico della cultura nella costruzione del paesaggio. Elaborare una mappa sensoriale dell'ambiente, che si trasferisca dal palato alle strutture cognitive. L'esplorazione costante dell'edibile garantisce la conservazione degli strumenti interpretativi del paesaggio in costante mutazione e dei meccanismi che lo traducono in cibo. Offre nuovi indicatori al rilevamento dei cambiamenti nella forma delle nuove risorse, anche economiche, a cui si porta l'attenzione. Al contempo mantiene attiva la capacità di adattarsi agli eventi allenando una cultura del territorio dinamica e permeabile.
In quest'ottica il piatto offerto a conclusione del mio intervento si inserisce in un progetto di ricerca condivisa con il ristorante San Brite di Cortina. Primo stadio dell'evoluzione di Sottobosco, costituisce un nuovo sguardo su questo sotto ambiente radicalmente cambiato dal collasso di ciò che lo sovrastava. Porta alla luce elementi inattesi di specie iconiche insieme ad altri prima irraggiungibili e a varietà vegetali che si stanno insediando ora, spartendosi lo spazio prima dominato dai grandi alberi. La nuova idea di Sottobosco scardina la diarchia costituita da mirtillo e lampone restituendo la complessità di un ambiente enormemente vasto. Un sottobosco culturale.